Ovvero: le tre cose che muovono il mondo!

Come ebbe infatti a dire Rudyard Kipling in tempi non sospetti: "Tre sono le cose che muovono il mondo: Donne, Cavalli e Guerra" il che, tradotto in termini moderni vuol dire: Donne, Motori e Armi da fuoco!

WELCOME TO THE MAYEM!

domenica 29 aprile 2012

Una protagonista assoluta del genere exploitation



Come promesso, comincio oggi la mia carrellata alla scoperta dei vari sottogeneri del fenomeno exploitation attraverso l'esposizione dei capostipiti del genere, siano essi film, libri, autori, registi o – come in questo caso – protagonisti o meglio protagoniste, nello specifico una delle più note starlette del periodo primi anni '70/primi anni '80: Sirpa Lane.

Nata ad Helsinki nel 1955, già nota sulle passerelle come modella, viene notata nei primi anni '70 dal regista Roger Vadim che la vuole nel suo film Una vita bruciata (La jeune fille assassinée ©1974) come protagonista; a questa prima prova, segue quello che – presso il grande pubblico – è considerato il suo film più famoso: La Bestia (La bête ©1975) per la regia del controverso regista polacco Walérian Borowczyk.

Purtroppo questo filmone sancisce, in un certo modo, una carriera a senso unico per la 20enne Sirpa: la scena madre del film – nella quale il personaggio interpretato dalla nostra eroina si fa montare dalla bestia eponima fino a sfiancarla e a farla letteralmente schiattare per... eccessiva attività sessuale – le resterà attaccata addosso come una specie di marchio di fabbrica.

In effetti, Sirpa non sembra proprio avere problemi a porsi davanti alla macchina da presa come mamma l'ha fatta e sembra assorbire bene anche le scene più turpi come quella dello stupro in La Svastica nel ventre ©1977, primo film girato in Italia di una lunga serie, per la regia di Mario Caiano, uno dei film più famosi in assoluto del genere nazisploitation che in quegli anni sta spopolando in Italia e nel mondo dopo l'enorme successo del famigerato Ilsa, She-Wolf of the SS (Ilsa la belva delle SS) uscito pochi anni prima, tanto da assurgere ben presto allo status di Kult Movie al di là dello Stagno Atlantico, dove il film è ben presto assimilato con il titolo di Nazi Love Camp 27 con il quale è universalmente riconosciuto in tutto il resto del mondo.

Rispetto al capostipite americano, questo film si distingue per l'incremento di scene più hard-core (ivi compresa la famosa scena dello stupro di cui sopra) rispetto a quelle più sadiche e fisicamente violente di Ilsa, pur mantenendo una buona dose di violenza in alcune situazioni.

Per altro è da notare come soprattutto la prima parte del film si rifaccia spudoratamente a La Casa delle Bambole (1955) il famoso (o famigerato) libro di Ka-Tzetnik 135633 vero nome dello scrittore israeliano d'origine polacca (e sopravvissuto di Auschwitz) Yehiel De-Nur.

Ora, tralasciando il fatto se questo libro sia o no da ritenere – come affermato più volte dall'autore – la biografia romanzata della presunta sorella adolescente di De-Nur (che sarebbe quindi morta in un Lager gestito dalla famigerata Divisione della Gioia delle SS) piuttosto che il primo, vero esempio letterario di nazi/sexploitation della storia, bisogna ammettere che regna incontrastato per la prima metà del film con un paio di notevoli eccezioni rispetto a quanto raccontato nel libro (come p.es. la cerimonia del tatuaggio con la marchiatura in piena vista, sul petto di Feld Hure* ovvero il personaggio della capo-supervisore del campo, che da prominenten criminale ospite essa stessa del campo, sfregiata, brutale e sessuomane diventa una regolare ausfeherin delle SS con tendenze lesbiche oppure al fatto che il campo della gioia sia diretto da un ufficiale delle SS invece che da una overausfeherin delle SS), forse proprio per evitare un'accusa di plagio e/o di dover versare bei soldi in diritti d'autore per lo sfruttamento del testo.

Ci sono infatti la selezione e le umilianti visite mediche delle “aspiranti prostitute” selezionate tra le ragazze ebree appena giunte al campo, la sadica (e lesbica) Ausfeherin delle SS responsabile in qualità di maitresse delle ragazze del campo e il preciso regolamento che scandisce la vita e la morte delle povere disgraziate, dai rapporti per le prestazioni inadeguate delle puttane a quella che nel libro viene chiamata la Cerimonia della Purga dei Peccati durante la quale le “colpevoli” per aver “peccato” tre volte (in pratica le poverette che hanno avuto 3 rapporti sfavorevoli), vengono selvaggiamente soppresse a bastonate dalle kapò davanti al comandante del campo e ai suoi scherani.

Anche in questo caso, la scena è piuttosto simile a quelle riportate nel libro, con le notevoli eccezioni che le punizioni non avvengono in pubblico ma a porte chiuse, solo davanti alla platea delle forzate/prostitute e che l'esecuzione non è collettiva – come nel romanzo – ma svolta singolarmente, una povera disgraziata alla volta, ma tant'è, questo basta e avanza per capire perfettamente dove sono andati a pescare gli sceneggiatori, specie per chi (come il sottoscritto) ha letto il libro: la cosa è assolutamente palese e riconoscibile, sin nel lessico utilizzato dai vari personaggi.

Da qui in poi, per la bella Sirpa, come dicevo prima, la strada procede per la discesa, vento in poppa e niente freni: al film di Caiano seguiranno, l'anno seguente, ben due film: la commedia sexy Malabestia per la regia di Leonida Leoncini e il ben più famoso Papaya dei Caraibi – film del genere cannibal horror – del maestro Joe D'Amato.
Da quest'ultimo exploit passeranno quasi tre anni prima che a Sirpa sia offerto un nuovo ruolo da protagonista ne La bestia nello spazio (©1981) italianissimo sci-fi/sexploitation movie per la regia di Alfonso Brescia, dove ancora una volta sono le... prodezze atletiche della nostra eroina a tenere banco, in un virtuale remake della scena clou del precedente La Bestia.

A questo filmone con l'attorone seguiranno altri “capolavori” di genere in rapida successione, tutte – con l'eccezione di Trois filles dans le vent (1981) – produzioni made in Italy fino ad arrivare alla badilata finale sulla fossa... ahem... carriera della ex-modella finnica con Giochi Carnali ©1983 per la regia di Andrea Bianchi, che mi si dice (sinceramente non ho avuto modo di vederlo, quindi mi fido sulla parola) sconfini pesantemente nell'hard-core più spinto.

A questo punto, Sirpa Lane (al secolo Sirpa Salo) scompare letteralmente nel nulla; di lei si perdono le tracce fino al 1999 quando a ben 16 anni di distanza dall'ultima volta che ha calcato un set cinematografico, i giornali danno notizia della sua morte – avvenuta a 44 anni d'età per AIDS – sull'isola spagnola di Formentera.

Personalmente, pur non essendo un fan sfegatato della biondina scandinava – secondo me tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80 ce n'era di... materiale umano migliore in giro – ammetto di esser rimasto particolarmente colpito dalla sua fine prematura e dallo spietato trattamento che Sirpa ha ricevuto dal mondo del cinema, specie considerando gli sforzi profusi... anima e corpo nel campo – sottovalutato eppure importantissimo per i bilanci – del cinema di genere, vittima, forse, proprio di quel suo sapersi muovere senza troppi patemi d'animo anche nelle scene più scabrose; invece di valorizzare questa sua qualità, è stata semplicemente dimenticata non appena ha varcato la fatidica soglia dei 25 anni, manco fosse stata un quarto di vitella, che è considerata buona solo fintanto che è tenera e fresca.

Badate che non sto scherzando: trovare un'attrice che si presti non solo a girare nuda per buona parte di un film ma soprattutto di... prendere di petto scene a base di stupri, amplessi, S&M, torture e quant'altro restando – nonostante tutto – abbastanza credibile non è proprio una cosa di tutti i giorni, specie al di fuori dal circuito strettamente legato al mondo del porno, dove della recitazione non gliene frega niente a nessuno, basta che la sciacquetta di turno sappia farsi... impalare ben bene senza rompere troppo i marroni!

* lett. "Puttana da Campo" simpatico nomignolo che, secondo Ka-Tzetnik, sarebbe stato... impresso a tutte quelle giovani ebree disgraziate destinate a sollazzare i militi tedeschi in partenza per il Fronte Orientale.

sabato 28 aprile 2012

Ma ditemi voi se è possibile?...


Argomento assolutamente cinematografico quello di oggi, un modo come un altro per riaprire i battenti dopo una lunga assenza da queste pagine.
E visto chi sono e il tipo di argomenti che di solito tratto, di quale genere potrei interessarmi se non di quello noto come exploitation?



Questa parola – che in inglese vuol dire semplicemente sfruttamento – preceduta generalmente da un'altra parola che – contratta – ne connota la specificità di genere (p.es. sexsploitation, blacksploitation, nazisploitation etc.) è stata usata sin dagli anni '60 del secolo scorso per indicare quel tipo di cinematografia (e non solo...) che fa un uso intensivo di stilemi e cliché già presenti nella mentalità corrente per attirare il pubblico nelle sale.

Se è vero – come è vero – che tira più un pelo di fica che un treno di buoi, questo è ancor più vero quando si parla di letteratura e cinematografia, da sempre mezzi privilegiati di evasione, specie quando si affrontano argomenti spinosi, scabrosi e comunque porcelli, che titillano la fantasia o l'ego dello spettatore (quasi sempre maschio, anche se ad onor del vero è sempre esistito un nutrito seguito di aficionados anche tra le esponenti del gentil sesso) introducendo situazioni spesso al limite del pornografico (quando non decisamente hard core) per soddisfare quel pizzico di voyeurismo che – latente e nascosto finché si vuole – è presente in ciascuno di noi.

Ora quello di cui volevo parlare stasera non è tanto del genere in sé o delle sue origini quanto sul mistero inspiegabile per cui la stragrande maggioranza di queste produzioni a 20, 30 o addirittura 40 anni di distanza dalla loro pubblicazione, sono assurti al ruolo di kult quando, al tempo della loro uscita nelle sale, sono stati spesso tacciati di pornografia, offesa al pudore o vilipendio alla morale o (dio ce ne scampi!) alla religione e per questo massacrati dalla censura, quando non sono stati letteralmente messi all'indice e banditi dalle sale e dalle librerie; ora sono divenuti praticamente delle vere e proprie leggende metropolitane perché, tutti, bene o male, ne parlano o ne hanno parlato ma di solito non si trova un cristiano che sia uno che ne abbia visto/letto uno per intero...

Dico ciò perché, in rarissimi e sporadici casi, qualcuna di queste pellicole ha avuto anche l'onore di ottenere un passaggio televisivo, il più delle volte su canali secondari ovvero in tarda, tardissima serata ma tutti, invariabilmente, massacrati ed epurati proprio di quelle scene più... exploitation che nonostante tutto davano loro un minimo di significato.

Ora, per quanto mi riguarda, trovo la censura – qualunque censura – un vero e proprio crimine contro la libertà d'espressione; molto più prosaicamente, se penso che una cosa possa darmi fastidio o essere inappropriata, semplicemente non la guardo!

È per questo che esistono i telecomandi: per cambiare canale e vedere qualcos'altro.
Pensare che ci sia qualcuno che pensa al posto mio e che decide arbitrariamente cosa devo vedere o sentire, soprattutto se si nasconde dietro la maschera della difesa della morale trovo che sia veramente scandaloso... e censurabile, questo si.

Ciascuno di noi ha un cervello ed è dotato di libero arbitrio, è quindi dotato di tutti i mezzi per poter scegliere cosa vuole fare, dove, come e quando vuole farlo e fintanto che non urta i sentimenti altrui, non lede l'altrui diritto o libertà o non viola qualche legge è a mio modo liberissimo di fare il cavolo che gli pare, senza balie calate dall'alto a custodire la sua moralità.
Moralità che, tra l'altro, è assai lata, cangiante e variabile da luogo a luogo, da persona a persona e da cultura a cultura.

Mi piacerebbe sapere se ad una qualunque persona sana di mente passerebbe mai per l'anticamera del cervello di interferire negli usi e costumi – per esempio – dei Boscimani del Kalahari piuttosto che degli Indios del Paranà; allora qualcuno mi spieghi – possibilmente in maniera logica ed ineccepibile – perché dovrei tollerare che qualcun altro si arroghi il diritto di decidere in mia vece cosa è giusto o sbagliato per me.



Per quanto mi riguarda, ognuno di noi è liberissimo d'impiccarsi con le proprie mani come e dove meglio gli aggrada; unica condicio sine qua non, se le cose gli dovessero poi andare di merda, non deve rompere i coglioni al prossimo: il funerale è il tuo, muori felice, l'hai voluto tu!

Scusate l'excursus, torniamo a bomba: dunque dicevo che non comprendo come mai tante opere letterarie e/o cinematografiche (soprattutto queste ultime ma anche tra le prime i casi non mancano) che sono considerate – a torto o a ragione – dei veri e propri feticci, di fatto latitino dalle nostre biblioteche, cineteche, TV e videoteche... perché non se ne riesce a trovare nemmeno una copia manco a cercarla col lanternino ovvero a pagarla oro?

Eppure – e qui casca l'asino – dovete sapere che oltre l'80% di queste produzioni (parliamo in questo caso di cinema) sono italianissime, girate da registi italiani, con attori italiani (o stranieri naturalizzati, visto che la loro carriera l'hanno praticamente percorsa tutta nel Belpaese) e da/con maestranze italiane, magari proprio nei teatri di posa della italianissima Cinecittà.

Perché proprio il paese che ha dato i natali a quelli che sono considerati i capolavori del genere è proprio quello in cui questi film sono meno visibili e/o apprezzati?

Che poi, dire che non sono apprezzati è una vera cazzata, perché ci sono legioni di cultisti del genere anche qui da noi, eppure la stragrande maggioranza delle copie che girano in Italia (per non parlare di quanto si trova sul web, principalmente tramite file-sharing) sono in lingua straniera ovvero piratate da edizioni pubblicate nei paesi più strani del mondo (ivi compresi Russia, Giappone, Stati Uniti e buona parte dell'Europa centro-occidentale e/o settentrionale) ma non c'è verso di trovarne una nella lingua di Dante.

O meglio, qualche volta il verso c'è, perché in molti paesi, specie del nord Europa, dove non è pratica comune doppiare i film stranieri, l'opera viene magari proposta in lingua originale sottotitolata poi in danese, olandese, ugro-finnico o quel che è.
Anche qui, però, insorge un grosso problema, perché molto spesso le uniche copie integrali del film sono quelle custodite nelle cineteche di altri paesi, magari nella loro versione doppiata (il più delle volte, in lingua inglese) per cui può capitare di trovare il film che state cercando con tanto accanimento... in inglese sottotitolato in ceco!

Il che vuol dire, il più delle volte, vedere un film doppiato da cani in una lingua che non è la sua e sottotitolato in una lingua incomprensibile magari con sottotitoli fissi che oltretutto deturpano l'immagine.
In pratica, l'unica cosa che resta del film, sempre che il master originale del film non sia stato... epurato (cosa che succedeva spesso e volentieri anche nei paesi anglosassoni, USA in testa) dei suoi contenuti più... scabrosi, sono solo le scene più porcelle, scene che in realtà hanno un senso solo quando sono contestualizzate all'interno del film, perché – diciamocelo francamente – se uno decide di vedere un film di genere come questi solo per le grazie di questa o quell'attricetta, a mio parere fa molto prima (e meglio) a noleggiarsi un film porno tout court che da quel punto di vista da molta più soddisfazione senza avere chissà quali pretese.

Ad onore del vero, qualcosa si sta muovendo anche qui da noi ma mi rendo conto che lo spazio è tiranno e che c'è ancora parecchio da dire, quindi rimando volentieri il tutto alle prossime occasioni.