Ovvero: le tre cose che muovono il mondo!

Come ebbe infatti a dire Rudyard Kipling in tempi non sospetti: "Tre sono le cose che muovono il mondo: Donne, Cavalli e Guerra" il che, tradotto in termini moderni vuol dire: Donne, Motori e Armi da fuoco!

WELCOME TO THE MAYEM!

domenica 12 agosto 2012

La massima evoluzione della specie...


No, oggi non vi parlerò di fatti di cronaca piccanti, di gnocca o degli innumerevoli casini del sottoscritto.
Rifacendomi a quanto promisi nel lontanissimo 2008, quando scrissi per la prima volta su questo blog, intendo parlare di una macchina (ricordate? Tra le 3G del titolo una fa riferimento a Gears cioè macchinari ed ingranaggi) tanto misconosciuta quanto epocale nella storia dell'aviazione.

Normalmente mi interesso più ai capostipiti delle varie specie ma in questo caso vi propongo invece l'espressione finale, il canto del cigno della razza degli aeroplani da caccia con motore a pistoni.

Meglio sarebbe dire “con motori a pistoni” dal momento che lo splendido Dornier DO 335-A1 Pfeil fu l'epitome della razza dei bimotori pesanti da caccia, iniziata con il non eccezionale Messerschmitt BF-110 e culminata con l'eccellente Lockheed P-38 Lightning; il Freccia (questa è la traduzione di Pfeil in italiano) però li fregava tutti: poteva volare più veloce, più in alto e più lontano di qualunque concorrente, dell'Asse o Alleato che fosse e il suo armamento di bordo gli assicurava un volume di fuoco ed una potenza distruttiva difficilmente eguagliata da altri aeroplani da guerra coevi, con l'eccezione, forse, del Hawker Typhoon con i suoi 4 cannoni Hispano da 20mm nella versione per l'attacco al suolo.

La sua configurazione, straordinaria e mai più provata su un aereo di serie, con un'elica traente a prua ed una spingente a poppa, alimentate da due propulsori Daimler-Benz DB-603 eroganti 1800CV a 2700 giri/minuto – in assoluto tra i migliori motori d'aereo mai adottati dall'aviazione germanica – perfettamente in linea e la rivoluzionaria ala con profilo a freccia (manco a farlo apposta), resero lo Pfeil uno dei più veloci, se non il più veloce, degli aerei ad elica (esclusi quindi i più recenti turboelica) nonostante le imponenti dimensioni ed il peso non indifferente di 11 tonnellate a pieno carico, con una velocità massima conclamata di oltre 760 km/h, mentre i 3 serbatoi interni, per una capienza complessiva di 2470 litri di combustibile, gli assicuravano un'autonomia di combattimento di oltre 2000 km ed una tangenza operativa di oltre 11.000 metri cosa che gli avrebbe permesso di agguantare senza fatica anche gli inafferrabili B-17 americani e i Lancaster inglesi che volavano regolarmente oltre gli 8.000 metri di quota, altezza che il nostro poteva raggiungere in meno di 15 minuti.

Se a questo aggiungiamo un armamento di bordo costituito da un cannone MK103 da 30mm sparante attraverso il mozzo dell'elica e da due MG151/20 da 20mm (per non parlare della stiva bombe interna con una capacità di 500 kg che unita alla capacità d carico subalare permetteva al Do-335 di trasportare senza fatica 1 tonnellata di bombe) possiamo capire immediatamente come un apparecchio del genere fosse – al pari del Messerschmitt Me-263 Schwalbe – uno spauracchio non da poco per i piloti alleati.

Dal momento che in quanto a tecnologie avanzate i crucchi non si facevano mancare niente, lo Pfeil fu uno dei primissimi aeroplani ad adottare per il pilota un seggiolino eiettabile come quelli usati oggi sugli aviogetti da combattimento.
Per evitare che il pilota – al momento del lancio dall'abitacolo – potesse finire trascinato verso la coda dell'apparecchio (dove, ricordiamolo, c'era una bella elica tripala affettatutto) con tristi e dolorose conseguenze, la coda e l'elica posteriore venivano preventivamente espulse dall'esplosione di apposite cariche, dopodiché il seggiolino veniva catapultato fuori dalla carlinga da potenti bulloni esplosivi.
Questo perché, alla fine, anche i tedeschi erano arrivati a comprendere un concetto fondamentale, che cioè le risorse umane – specie se si tratta di personale altamente qualificato come i piloti da caccia – non crescono sugli alberi e a lungo andare sono insostituibili, mentre le macchine le puoi costruire (o ricostruire) quante volte vuoi (più o meno), da qui l'esigenza di proteggere innanzitutto il pilota e poi la macchina.

Purtroppo (per i tedeschi) anche lo Pfeil arrivò sul teatro di battaglia troppo tardi ed in numeri troppo esigui per fare la differenza, nonostante – assieme al coevo Ta-152 progettato per la Focke Wulfe dal celeberrimo Kurt Tank – fosse stato specificamente progettato per fornire appoggio e copertura al ben più famoso aviogetto della Messerschmitt nel quale il fürher riponeva tutte le sue speranze di vittoria.

Se vogliamo dirla tutta, fu un bene che l'aereo progettato da Claude Dornier non sia mai andato oltre lo stadio di pre-produzione con solo una manciata (una ventina circa) di apparecchi prodotti perché in un episodio – raccontato dall'asso francese Pierre Clostermann che volava sotto le insegne della RAF britannica – un'intera pattuglia di Tempest da lui guidata diede la caccia ad uno Pfeil solitario dopo averlo sorpreso senza scorta e in volo a bassa quota, dove le sue prestazioni non eccellevano.

Eppure lo Pfeil schizzò via, tenendo fede al suo nome, come una freccia, lasciando con un palmo di naso i piloti alleati ed i loro caccia da 700 km/h di velocità massima, mentre subito dopo la guerra uno Pfeil catturato dall'USAAF (la fabbrica della Dornier era caduta in mani alleate nell'Aprile del '45) durante un volo di trasferimento da München a Cherbourg scortato da due North American P-51 Mustang, prese letteralmente il volo arrivando a destinazione con “solo” 45 minuti di scarto rispetto alla scorta.

Gli Pfeil ancora in condizioni di volo vennero trasferiti negli Stati Uniti per essere testati; di lì a poco lo sviluppo ulteriore di aeroplani con propulsione ad elica verrà definitivamente accantonato per cedere il posto alla nuova generazione di apparecchi con motori a getto; degli Pfeil trafugati ne è sopravvissuto solamente uno che è esposto ancora oggi al museo nazionale aerospaziale Udvar-Hazy.


Nessun commento: